Un racconto fotografico che arriva da lontano, abbraccia il mito e resta in mostra, con forti segmenti visivi surrealisti, alla BRAU di Napoli fino al 3 Maggio

 

“ECO”, il lirico e drammatico lavoro del fotografo Roberto della Noce è in mostra a Napoli, fino al 3 maggio, alla Biblioteca di Area Umanistica a Piazza Bellini.

Questo è un racconto che viene da lontano: vi si narra, infatti, del mito di Eco, la ninfa che Narciso non amò.

Narciso era un ragazzo dal bell’aspetto, che sfuggiva il mondo e l’amore e preferiva trascorrere il tempo passeggiando da solo nelle foreste sul suo cavallo oppure andando a caccia di animali selvatici.
Un giorno, mentre era a caccia, sentì rimbalzare una voce che si esprimeva in canti e risate.

Era Eco, la più incantevole e spensierata ninfa della montagna che, al solo vederlo, s’innamorò perdutamente di lui.

Narciso, però, era tanto fiero della propria bellezza, che gli pareva cosa di troppo poco conto occuparsi di una semplice ninfa. Non fu così per Eco che da quel giorno seguì il giovane ovunque andasse, accontentandosi anche di guardarlo soltanto da lontano.

L’amore e il dolore la consumarono: a poco a poco il sangue le si sciolse nelle vene, il viso le divenne bianco come neve e, in breve, il corpo della splendida fanciulla divenne trasparente al punto che non proiettava più ombra sul suolo.
Affranta dal dolore si rinchiuse in una caverna profonda ai piedi della montagna, dove Narciso era solito andare a cacciare. Con la sua bella voce armoniosa continuò a invocare per giorni e notti il suo amato. Inutilmente perché Narciso, che pur udiva l’angoscioso richiamo, non venne mai

Il moderno Narciso, raccontato nelle immagini in mostra, è costretto, dalla sua stessa natura, a vivere dietro una cortina di vetro, fermo a osservare la vita in una sola direzione, la sua, senza la capacità di percepire il mondo. Il vetro diventa uno specchio solo per chi guarda verso l’oscurità. Quell’oscurità che cela e protegge la parte più intima dell’animo umano.

Riprendo le parole di Roberto della Noce che spiegano allo spettatore qual è il percorso emotivo che si manifesta in ogni elemento di luce e di colore del suo lavoro.

“Il progetto della mostra è chiaramente attinente a un vissuto intimo e personale. Nato e cresciuto in maniera istintiva, fino al momento della consapevolezza, come se la fotografia richiamasse un’attenzione volta a guardarsi dentro. Su questo si sviluppano le fotografie in mostra, che creano una narrazione della personalità narcisista, ovvero di persone con le quali ci troviamo ad avere a che fare e talvolta a convivere. Esistenze pari al fatuo scintillio delle vetrine. Personaggi che restano schiavi di un’immobilità emotiva incapace di vera bellezza, ma preposti solo a riflettere, senza parteciparvi, il mondo vero, quello che fuori pulsa e palpita di vita vera. Eco non può fare a meno di amare Narciso, nella speranza di un cenno, di un riconoscimento che mai avranno luogo. Consuma la propria esistenza, brucia la sua energia fino a morire, lentamente, lasciando solo l’eco di un rumore di fondo. L’ultimo gesto per lasciare una traccia sonora di un amore disperso. Si può scegliere di fermarsi alla bellezza che può essere espressa, di riconoscersi nei colori e nell’estetica delle fotografie, alla luce del giorno”.

 

Osservando questo percorso fotografico e alla luce della premessa dell’autore, il collegamento con tutto il lavoro fotografico di Eugène Atget arriva in modo fluido e diretto

Siamo pienamente calati dentro una matrice surrealista, ovvero, davanti alla natura più vera della fotografia, che al tempo stesso è anche quella più difficile da decodificare.

La fotografia per i surrealisti, infatti, era uno dei mezzi più efficaci per far emergere gli aspetti profondi e sorprendenti della quotidianità. Evidenziare l’ambiguità delle immagini di cui è costituita la realtà, è uno degli elementi cardine di queste opere.

In questo genere fotografico l’oggetto fotografato diviene apparizione ambigua e spesso inspiegabile attraverso la sola ragione.

Il soggetto principale delle fotografie di Atget è sempre una Parigi misteriosa, fatta di vetrine di negozi in cui si riflettono i passanti, di insegne commerciali e di edifici.

Walter Benjamin, parlando di lui ha scritto: «curiosamente quasi tutte le immagini sono vuote. Sono queste le opere in cui si prefigura quella provvidenziale estraniazione tra il mondo circostante e l’uomo, che sarà il risultato della fotografia surrealista.»

Quando entriamo nello spazio fisico e psicologico della fotografia surrealista non esiste più quel realismo oggettivo che spesso sembra essere l’unico punto di contatto tra il fotografo e il suo spettatore: esiste solo una realtà soggettiva che può essere letta da più punti di vista.

La fotografia surrealista cammina puntando vero un unico obiettivo, ovvero esprimere, per mezzo delle immagini, l’essenza e le inquietudini dell’essere umano attraverso tecniche e tematiche legate al mondo dell’inconscio, dell’onirico e dell’irrazionale.

 

Come si può, dunque, non pensare ad Atget mentre si è immersi tra le immagini del percorso visivo introspettivo di Roberto, a cominciare proprio dagli elementi oggetto di fascino dei surrealisti e così fortemente presenti in tutte le immagini di “Eco”.

il riflesso come perturbazione della percezione e della trasparenza della visione.

Il Riflesso diventa, in tal senso, una fonte di sovvertimento oltre che di perturbazione dei sensi.

I riflessi hanno la caratteristica di essere sempre presenti in stato di latenza nello spazio urbano e poter comparire, all’improvviso, in ogni angolo della strada.

E’ proprio attraverso questa dinamica che veniva appagata la fascinazione surrealista per le figurazioni accidentali, casuali, per l’estetica della sorpresa.

la vetrina come luogo surreale, in cui gli oggetti più svariati interagiscono fra di loro, intessendo relazioni fantastiche

La vetrina, invece, è un dispositivo-simbolo della modernità che determina una relazione iconica e simbiotica tra soggetto e merce, grazie alla doppia natura trasparente-riflettente della vetrina, accompagnata dall’autorappresentazione del soggetto nell’attivazione del desiderio

 

Saranno proprio queste vetrine con i loro riflessi a trasportarci fuori dalle coordinate geografiche, dentro un altrove che è imperscrutabile nel quotidiano, ma che è così fortemente accecante se non viene accuratamente sviscerato.

L’artista ha, dunque, un ruolo fondamentale nella vita dei suoi spettatori: può insegnarci a guardare fuori di noi e a rivolgere successivamente lo sguardo dentro di noi, in un continuum di consapevolezza così importante per restituirci l’equilibrio e salvarci la vita.